Invasioni di cinghiali e fauna selvatica timori per le semine

Gli imprenditori agricoli sono in allarme, nel Varesotto, per il ritorno dei cinghiali, dopo un ‘annus horribilis’.

Invasioni di cinghiali e fauna selvatica timori per le semine
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Invasioni di cinghiali e fauna selvatica: si teme un altro ‘annus horribilis’.

Invasioni di cinghiali e fauna selvatica

Arriva il tempo delle semine e gli imprenditori agricoli sono in allarme, nel Varesotto, per il ritorno dei cinghiali, dopo un ‘annus horribilis’, il 2017, che ha registrato danni ingentissimi da un capo all’altro della provincia prealpina. “Già in questi giorni sono riprese le invasioni nei campi, e i timori maggiori si hanno proprio in occasione delle semine, comunque imminenti e differenziate secondo la tipologia colturale e le varie zone. In ogni caso l’intero comprensorio è interessato, purtroppo, da un problema che assume proporzioni sempre maggiori” rileva il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori.

Danni che si ripetono

“Anche i numeri, già di per sé molto alti, sono fuorvianti, dato che molto spesso i danni si ripetono a distanza ravvicinata. Ciò è spesso incompatibile con le esigenze delle imprese agricole, costrette a riseminare prima dell’intervento del perito. E, quando le distruzioni dei cinghiali sono ripetute, alla fine il danno riscontrato è uno solo. Ecosì molti decidono di non denunciare nemmeno le perdite subite”.

Le invasioni non si arrestano

In realtà, le invasioni non si arrestano nemmeno nel periodo invernale, con la devastazione di prati stabili, colture di frumento e cereali autunno/vernini: in più, oltre ai danni alle imprese agricole, l’invasiva presenza dei cinghiali ha comportato notevoli rischi anche alla viabilità stradale. Per gli imprenditori agricoli si tratta di un autentico incubo, che comporta perdite notevoli sotto il profilo economico e un aggravio di incombenze burocratiche, che partono dalla denuncia dei danni, all’uscita degli incaricati per l’ispezione, all’erogazione effettiva della somma. Va sottolineato che il ristorno dei danni è legato al criterio definito in delibera, con una franchigia di 100 euro e, in ogni caso, subordinato alla stima peritale. Come detto, il territorio interessato è amplissimo: si va da Porto Valtravaglia a Castelveccana, da Induno Olona e Saltrio fino alla ‘Bassa’, Sumirago, Lonate Pozzolo, Busto Arsizio e Origgio, senza trascurare il lago Maggiore, da Sesto Calende a Luino e oltre. La forbice dei danni può andare da alcune centinaia di euro a cifre molto importanti, in alcuni casi di diverse migliaia (emblematico è il caso di un’azienda nell’alta provincia alla quale sono stati riconosciuti oltre 7.000 euro per le devastazioni nei suoi prati a fieno, letteralmente presi d’assalto dagli ungulati).

 Colpo di grazia

“E’ altresì necessario dar seguito agli abbattimenti in deroga, oltrechè da parte delle guardie venatorie, anche ripristinando l’intervento autorizzato degli agricoltori in possesso dei requisiti, così come previsto dall’articolo 41, peraltro inspiegabilmente sospeso. Il problema è fuori controllo, in alcuni areali il 2017 ha visto crollare la raccolta di fieno del 60% per colpa dei cinghiali, mentre per alcune imprese la percentuale è salita drammaticamente, fino al 90%. E a questo dobbiamo aggiungere il ‘colpo di grazia’ dato alle colture ortofrutticole e cerealicole, in primis il mais”. La gamma delle colture danneggiate dalla fauna selvatica è pressochè totale: si va dal vivaio al frutteto, alle ortive a pieno campo, ai prati, agli impianti di piccoli frutti, alla vite, alle leguminose, al mais da granella e insilato, alle oleoproteaginose. In un caso, a Induno Olona, si è addirittura registrata, da parte dei cinghiali, la distruzione di alveari, in ordine al quale sono stati ristornati 1.500 euro di danni all’impresa colpita. Tutto questo, secondo Coldiretti “non è più tollerabile, gli imprenditori agricoli sono esasperati ed è necessario che venga predisposta una strategia di azione più risolutiva: a ciò si aggiunge il rischio che numerose imprese agricole non riescano più a far fronte al problema e siano costrette a chiudere: ciò potrebbe causare l’abbandono di interi territori e mettere a rischio quella stabilità idrogeologica che, soprattutto nelle aree montane, è di fatto garantita dalla presenza delle imprese agricole. Va inoltre sottolineato come i cinghiali siano la specie  cui va ricondotta la maggior parte delle devastazioni, ma non l’unica: il ‘bollettino’ ricomprende, infatti, anche i danni causati da cervidi, leporidi (che colpiscono una gran parte di colture, tra cui la soia e le ortive) e, non ultimi, i piccioni, anch’essi in grado di causare danni da migliaia di euro a fronte di una sola ‘incursione’”.

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