La storia di Matteo, tra i primi pazienti in Italia trattato con i nuovi farmaci antiepatite C

"Ero considerato un malato terminale, ma la nuova cura e la cocciutaggine del prof. Grossi, mi hanno riportato alla vita". 

La storia di Matteo, tra i primi pazienti in Italia trattato con i nuovi farmaci antiepatite C
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La storia di Matteo, tra i primi pazienti in Italia trattato con i nuovi farmaci antiepatite C. Matteo è della provincia di Pavia e la sua vita ha subito una svolta importante all'Ospedale di Circolo di Varese.

La storia di Matteo, trattato con i nuovi farmaci antiepatite C

L'Italia è il paese europeo con il più alto numero di abitanti affetti dal virus dell'epatite C, e ancora circa 300.000 sono in attesa di ricevere un trattamento. Di questi, circa un terzo sono cirrotici, hanno sviluppato cioè una grave malattia del fegato che, in alcuni casi, può degenerare in un tumore epatico primitivo.

Matteo era uno di questi ultimi. Era, perché la sua vita, che sembrava irrimediabilmente segnata dalla malattia, ha avuto una svolta importante proprio all'Ospedale di Circolo di Varese.

L'incontro

Eppure Matteo è originario della provincia di Pavia. Ed è a Pavia che ha incontrato la persona che gli avrebbe restituito la vita: il prof. Paolo Grossi, ora Direttore delle Malattie Infettive e Tropicali di Varese, oltre che Direttore del Dipartimento trapianti aziendale, all'epoca in servizio al San Matteo di Pavia.
Matteo era un suo paziente e, quando il prof. Grossi venne a Varese per guidare il reparto di Malattie Infettive, lo seguì.

"Una volta al mese - racconta - venivo all'Ospedale di Circolo per i controlli. La malattia però seguiva la sua evoluzione e la mia situazione andava peggiorando: come accade talvolta nei malati di epatite C, sviluppai un tumore al fegato e fui messo in lista per un trapianto".

Il trapianto

E la chiamata arrivò: era il 2006. Il trapianto, eseguito in un centro specializzato nei trapianti di fegato, andò bene ma, come sempre accade, il virus dell'epatite C non tardò ad attaccare il nuovo fegato di Matteo.

"Ciononostante, la mia vita riprese, ritmata dai controlli a cui dovevo sottopormi nell'Ospedale dove avevo ricevuto il nuovo organo. Dopo 7 anni, però, la situazione degenerò un'altra volta: il fegato era di nuovo compromesso".

Matteo stava male e la sua situazione peggiorò rapidamente. I medici non gli lasciarono speranze:

"Mi dissero che il trapianto mi aveva donato 7 anni di vita e che dovevo essere contento per aver avuto questa possibilità. Io però non riuscivo ad accettare questa prospettiva, non volevo arrendermi senza provare almeno a combattere. Così tornai a Varese, dal prof. Grossi. Non riuscivo più nemmeno a camminare, tanto ero gonfio di liquidi. Lui mi ricevette, mi ascoltò, condivise il mio spirito, anzi mi incoraggiò a provare".

La nuova cura

Era il 2013 e il prof. Grossi propose a Matteo di tentare una via ancora tutta da esplorare: proprio in quei mesi si stavano studiando dei farmaci per curare l'epatite C. Le premesse erano buone, ma la sperimentazione non era ancora conclusa e gli esiti tutt'altro che sicuri. Il prof. Grossi avviò l'iter burocratico previsto per ottenere l'autorizzazione a somministrare le nuove molecole al paziente ad uso compassionevole. Non fu semplice, ma alla fine il Comitato etico aziendale diede il suo avallo e, nel giro di un paio di mesi, Matteo poté iniziare la sua terapia.

La guarigione

Bastarono poche settimane e il virus dell'epatite venne sconfitto. E a regredire, in maniera del tutto inaspettata, fu anche la cirrosi.

"Ero considerato un malato terminale, ma la nuova cura e la cocciutaggine del prof. Grossi, che combatté con me questa battaglia, mi hanno riportato alla vita". 

E Matteo questa nuova vita non ha intenzione di sprecarla: poco tempo dopo la sua guarigione, infatti, è diventato nonno e ora si dedica con entusiasmo a questa nuova sfida che la vita, quasi a sorpresa, gli ha riservato.

"Farmaci rivoluzionari"

Matteo è stato il primo paziente a Varese e tra i primi in Italia ad essere curato con i nuovi farmaci antiepatite C: dall'autunno del 2014, infatti, quella che era una cura sperimentale è stata ufficialmente  riconosciuta ed è entrata in commercio. Inizialmente la sua somministrazione è stata prevista per una coorte ben delimitata di pazienti, quelli in stadio più avanzato, ma ora i criteri sono molto meno rigidi e la maggior parte dei pazienti con infezione da HCV riceve la terapia.

"Gli effetti sono eccezionali: la percentuale di guarigione si attesta al 96%, e stiamo parlando di una malattia per la quale fino a pochi anni fa la cura disponibile era scarsamente efficace e gravata da numerosi e pesanti effetti indesiderati" spiega il prof. Grossi.

Dalla fine del 2014 ad oggi sono oltre 500 i pazienti che hanno ricevuto questi farmaci all'Ospedale di Varese. Una parte di loro è in cura nel reparto di Malattie infettive, una parte in Gastroeneterologia, struttura diretta dal dott. Sergio Segato. Fino al 2012, l’unica terapia esistente contro l’epatite C era quella a base di interferone, finalizzata a potenziare il sistema immunitario al fine di sconfiggere il virus HCV. La guarigione però avveniva solo in circa la metà dei casi trattati, e dopo una terapia lunga un anno ed in genere scarsamente tollerata. La prospettiva ha iniziato a cambiare tra il 2012 e il 2013, con i nuovi farmaci inibitori delle proteasi. Il successo di questa terapia, che prevedeva comunque l’utilizzo dell’interferone, si raggiungeva in circa l’80% dei casi, a fronte peraltro di un incremento degli effetti collaterali. Ora la svolta decisiva:

"I nuovi farmaci a disposizione sono davvero rivoluzionari sia come efficacia, sia come tollerabilità” riconoscono Grossi e Segato.

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