Caporalato, 3 euro l'ora per raccogliere abiti usati: un arresto nel Saronnese

Operazione “Stracci d’Oro”: tutto è partito da un tragico incidente stradale in cui perse la vita un richiedente asilo.

Caporalato, 3 euro l'ora per raccogliere abiti usati: un arresto nel Saronnese
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Caporalato: lavoranti pagati 3 euro l’ora. L’indagine partita da un tragico incidente stradale durante il quale un furgone si ribaltò in un fosso e oltre al conducente perse la vita un richiedente asilo, che insieme ad altri era nascosto nel cassone. Agli arresti domiciliari è finito un 62enne, residente nel Saronnese.

Caporalato: lavoranti pagati 3 euro l’ora

La Polizia di Stato di Cremona sta eseguendo delle ordinanze di custodia cautelare in carcere, degli arresti domiciliari e dell’obbligo di dimora a carico di un sodalizio criminale accusato di aver reclutato e sfruttato manodopera irregolare (il cosiddetto caporalato). Le indagini dei poliziotti della squadra mobile, condotte tra l’aprile e il novembre del 2018, hanno accertato che gli indagati hanno sfruttato dei cittadini extracomunitari nel redditizio business della raccolta degli indumenti usati, destinati alla distribuzione nei mercati del nord Africa.

Coinvolte diverse province

I reati sono stati commessi principalmente nella provincia di Cremona (in particolar modo, nel circondario della cittadina di Soresina) ma anche in altre province del nord Italia (quali Como, Bergamo e Reggio Emilia). Alle vittime veniva corrisposto una retribuzione di 3 € l’ora, del tutto sproporzionata rispetto al lavoro prestato e senza alcun rispetto delle norme in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro ed in condizioni di lavoro degradanti.

10 persone indagate

Nell’ambito dell’operazione denominata “Stracci d’oro” sono dieci le persone indagate. In carcere sono finiti un tunisino di 37 anni, il capo dell’organizzazione, e due fratelli marocchini, di 45 e 43 anni, suoi collaboratori. L’unico italiano del gruppo, 62 anni, napoletano ma residente nella provincia di Varese, si trova agli arresti domiciliari. Per  tre marocchini, è stata disposta la misura dell’obbligo di dimora, eseguita solo nei confronti di uno di loro domiciliato in provincia di Lodi, in quanto gli altri due risultano irreperibili. Altre tre persone, infine, sono indagate a piede libero.

La banda era dedita allo sfruttamento del lavoro di soggetti stranieri, spesso richiedenti asilo o irregolari sul territorio, costretti a lavorare per 3 euro l’ora e a volte neppure pagati. Centro principale di attività del gruppo era Soresina,anche se vi erano soggetti provenienti da province limitrofe.

L’incidente a Trigolo

L’indagine ha preso inizio il 15 aprile 2018, in seguito a un tragico incidente verificatosi sulla statale tra Trigolo e Soresina, quando un furgone si ribaltò in un fosso e oltre al conducente perse la vita un richiedente asilo, che insieme ad altri era nascosto nel cassone. Il conducente venne successivamente individuato come uno dei membri della rete. 

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Le indagini, hanno poi consentito di risalire all’attività di stoccaggio di vestiti usati, che andava avanti almeno dal 2017, e di individuare la struttura della banda. Gli abiti venivano raccolti con lo stesso sistema che utilizzano le associazioni benefiche: mediante l’utilizzo di cassoni per la raccolta oppure passando di casa in casa.

Abiti rivenduti in Tunisia

Gli indumenti raccolti venivano poi portati in depositi presi in affitto per l’occasione: ne sono stati individuati sette, tra Bergamo, Reggio Emilia, Como e Cremona, in particolare a Grumello Cremonese e Gallignano, una frazione di Soncino.  Una volta recuperati, i vestiti venivano stoccati dai lavoratori irregolari, che operavano in condizioni pessime. Successivamente il tutto veniva caricato in container che arrivavano appositamente dalla Tunisia grazie a contatti in loco dell’organizzazione, e quindi rispedito a Tunisi attraverso il porto di Genova. Tra i carichi identificati dagli agenti, uno in particolare era composto da 20mila chili di vestiti, per un valore complessivo di 7mila euro. I vestiti poi venivano rivenduti in Tunisia a prezzi più alti, creando così un notevole giro d’affari.

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